ONU la cannabis non fa male
2 Dicembre 2020La cannabis non è una droga di passaggio
21 Dicembre 2020La storia della canapa in Italia: dall’introduzione al miglioramento genetico.
La storia evolutiva della Canapa (Cannabis Sativa) in Italia e nel mondo, è strettamente legata all’evoluzione dell’uomo. Attraverso i millenni è avvenuto il suo addomesticamento e la selezione continuerà anche in futuro.
L’origine del concetto di miglioramento genetico vegetale è contestuale alla nascita dell’agricoltura, datata intorno al 9000 a.C. e avvenuta, con la domesticazione dei primi cereali, nella cosiddetta mezzaluna fertile, l’area geografica che dall’Iraq si estende fino in Egitto, attraversando Turchia, Siria, Libano e Israele.
Sia che i primi uomini usassero Cannabis come fonte di fibre, cibo o composti che alterano la mente, alla fine svilupparono diverse tecniche agricole per aumentare la resa e la qualità di tutti questi prodotti. Quando i gruppi nomadi si stabilivano in luoghi fissi, le popolazioni selvatiche di Cannabis venivano probabilmente esaurite dalla raccolta annuale. Di conseguenza, gli uomini trovarono più conveniente coltivare la pianta vicino alla loro casa piuttosto che viaggiare sempre più lontano ogni anno alla ricerca di piante selvatiche.
Le prime coltivazioni di Canapa
Fu così che i primi uomini iniziarono a usare e coltivare la Cannabis per diversi scopi, all’inizio inconsapevolmente, e poi intenzionalmente. Presto cominciarono a seminare semi provenienti dalle piante che ritenevano superiori. Questi includevano quelle poche piante che deviavano significativamente dalla norma in un tratto prezioso e facilmente misurabile. Tratti come la resa in semi, fibra o la composizione chimica.
I primi agricoltori si resero conto della superiorità delle piante coltivate rispetto ai loro parenti selvatici, a causa dell’aumento delle risorse che derivavano dalla cannabis coltivata.
Le selezioni iniziali da popolazioni selvatiche provenivano probabilmente da una o poche piante che producevano fibre, semi o resina. Queste piante attraevano, consapevolmente o meno, la persona che raccoglieva i semi per la semina. Di conseguenza, ciascuna di queste selezioni formava una base genetica relativamente ristretta per le generazioni successive. Ciò ha portato a nuove popolazioni geneticamente composte da individui strettamente correlati.
L’evoluzione: a partire dal XIX secolo
Tuttavia, per assistere a una generale e più consapevole diffusione delle prime pratiche di miglioramento genetico vegetale bisogna attendere il XIX secolo. In quest’epoca si è affermata la cosiddetta selezione massale. Si tratta di un procedimento semplice, rapido, diretto e poco costoso. Tuttavia presenta l’inconveniente di mantenere un elevato livello di variabilità nella popolazione sottoposta a selezione. Questo consente di operare una selezione efficace solo per i caratteri a elevata ereditabilità.
La selezione massale consiste nel miglioramento di una popolazione attraverso l’incremento delle frequenze di geni d’interesse. Si opera una selezione dei fenotipi più promettenti (selezione massale positiva) oppure, in modo analogo, si eliminano i tipi che possiedono caratteri indesiderati (selezione massale negativa).
Con la scoperta delle leggi di Mendel, avvenuta nel XX secolo, iniziano a diffondersi diverse tecniche di miglioramento come l’incrocio per impollinazione artificiale che consente d’introdurre nuova variabilità genetica in individui chiamati ibridi da sottoporre a selezione.
Parallelamente, furono sviluppati ulteriori metodi di miglioramento specifici per specie allogame le cui popolazioni sono costituite da individui che si interincrociano liberamente. In grado di condividere un pool genetico comune , come il metodo del reincrocio, la selezione divergente, la selezione ricorrente, la selezione fenotipica.
La combinazione dell’ibridazione con la selezione genealogica, o l’uso di altri metodi di miglioramento, adottati da numerosi breeders, determinano un’impennata nella produttività di numerose specie d’interesse agrario.
Storia del miglioramento genetico in Italia:
La Cannabis è stata una fibra tessile che nel nostro Paese agli inizi del 900 ha occupato più di 100.000 ettari (Ranalli e Casarini 1988). L’Italia deteneva il primato per la miglior qualità di fibra che veniva coltivata sia nelle regioni del settentrione che in quelle meridionali.
Fino ai primi del novecento, il processo selettivo della Cannabis era basato esclusivamente sulla selezione massale, che in gran parte avveniva nelle singole aziende.
Nella canapacciaia erano raccolti al termine della fioritura prima tutti i maschi. Da questi si estraeva poi la fibra lunga e si lasciavano a maturare tutte le migliori piante femminili. Queste ultime erano scelte principalmente sulla base della maggior altezza e produttività di seme.
In seguito, abbiamo avuto importanti studiosi che si sono occupati di selezione della Cannabis di cui preme ricordare il lavoro di Crescini (1930 a,b, 1934 a,b,c, 1937, 1940, 1943, 1953, 1954,1955 e 1956), oltre a Bonvicini (1932 e 1942), quest’ultimo orientato ad affrontare la selezione della canapa per le esigenze settentrionali e Barbieri (1968) per le condizioni del Sud Italia.
Subito dopo, un protagonista della selezione della canapa è stato Domenico Allavena. I dati conservati nell’attuale istituto del CREA-CIN, dove lui ha realizzato i suoi studi sulla Cannabis, partono dal 1940 e terminano con i primi anni settanta.
La selezione della Canapa nel ‘900 :
Il carattere su cui all’epoca era concentrato il lavoro di selezione riguardava principalmente il contenuto di fibra (tra 12 e 15% del peso secco), perché la produzione era destinata totalmente alla produzione di fibra tessile. La crisi incalzante del prezzo sempre più basso della fibra spingeva ad incrementare sempre più la produzione unitaria a scapito della qualità.
Il Consorzio Nazionale Produttori Canapa
Tra il 1955 e 1956 era attivo il Consorzio Nazionale Produttori Canapa che aveva avviato una collaborazione con von Sengbrusch, direttore del MaxPlankt Institute di Berlino il quale assieme a Bredemann, aveva selezionato le varietà monoiche ad alto titolo di fibra. Gli stessi materiali monoici, tra cui la più nota era la Fibrimon, è stata scambiata anche con i francesi e Nicot ne derivò la gran parte delle varietà francesi, ancora attualmente coltivate.
All’epoca, le popolazioni della Cannabis monoica avevano un’alta percentuale di piante maschili dioiche che le contaminavano. L’impresa più difficile era eliminarle prima dell’avvio della loro fioritura, per evitare che il carattere recessivo del monoicismo venisse “mascherato” dal dioicismo.
Si ricorda che una pianta maschile può arrivare a produrre anche più di 350.000 granuli di polline. Perciò, bastano poche piante per contaminare irrimediabilmente, in un solo ciclo di moltiplicazione, una popolazione di cui si vorrebbe recuperare in purezza il carattere del monoicismo.
Per le varietà dioiche si miglioravano la Nostrana, la Carmagnola, L’Eletta campana ed anche genotipi proveniente dall’India. Erano anche in selezione alcune linee di canapa trattate con colchicina, allo scopo di ottenere piante tetraploidi. L’obiettivo era aumentare la produttività della pianta, sfruttando il gigantismo indotto dal raddoppiamento del numero dei cromosomi.
Le varietà superstiti
Alla fine degli anni sessanta, quando la Cannabis era oramai giunta alla sua scomparsa (nel 1971 erano coltivati poco più di 400 ha), le varietà superstiti erano tre: la Carmagnola, caratterizzata per un elevata qualità della fibra lunga e buona produzione di seme; la C.S. (Carmagnola Selezionata) dotata di maggiore produzione di fibra associata ad una buona qualità e la Fibranova, la più ricca in fibra ed elevata produttività, ma minore resa in seme. La Campania fu l’ultima Regione che coltivò la canapa e verosimilmente fu l’Eletta Campana a essere coltivata sino all’ultimo.
Il recupero delle varietà di canapa italiane
Sono state ipotizzate diverse ragioni e complotti contro l’uso della Cannabis industriale, ma fondamentalmente in Italia sono state le ragioni economiche a determinarne la quasi estinzione della tessile. Risultato a cui ha senz’altro contribuito anche la norma per il controllo delle sostanze stupefacenti.
I regolamenti europei ammettevano dei contributi solo per le varietà che avevano un contenuto massimo di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) di 0,3%. Tutte le varietà italiane non erano state selezionate per rispettare questo livello della sostanza psicotropa vietata e quindi la coltivazione delle varietà italiane tracollò.
Sino ad allora, gli orientamenti del programma di selezione, di recupero e di costituzione di nuove varietà, erano esclusivamente orientati verso la selezione di tipi dioici ad alto contenuto di fibra pregiata. Questo perché la Cannabis in Italia era sempre stata utilizzata quasi esclusivamente per la produzione di fibra tessile.
A seguito della pressione esercitata da un coordinamento nazionale di canapicoltori sul MiPAAF, nel 1995, fu avviato un programma di ricerca volto al recupero e ammodernamento delle varietà di Cannabis italiane ancora sopravvissute. La coltivazione era stata interrotta da quasi vent’anni. Le varietà che vennero recuperate e aggiornate per rispettare i limiti di THC furono: Carmagnola, C.S. e Fibranova.
Una nuova priorità: abbassare il THC
Per abbassare il contenuto di THC, vennero coltivate alcune centinaia di piante in isolamento delle tre popolazioni. Il criterio selettivo era prevalentemente l’altezza, la tardività e il buon contenuto di fibra. Prima dell’avvio della fioritura e dopo che il sesso potesse essere facilmente identificato (intervallo di tempo, una decina di giorni), da gruppi di 100 o 200 individui maschili, singolarmente identificati, fu prelevato un campione fogliare, usato per l’esecuzione dell’analisi gas cromatografica dei cannabinoidi. Tutti gli individui che presentavano un profilo con il cannabinoide non psicotropo, cannabidiolo (CBD) prevalente, vennero mantenuti e lasciati fiorire, gli altri tagliati.
Il processo selettivo venne ripetuto almeno 3 volte o sino a quando tutta la popolazione risultava costituita da individui a esclusivo contenuto di CBD. Va ricordato che operando in stretto isolamento, il carattere del chemiotipo è stabile. Solo l’eventuale contaminazione della varietà con polline vagante, derivato da piante non selezionate o ancor peggio, da coltivazioni clandestine di canapa da droga, può alterare l’equilibrio. Per sicurezza, periodicamente, sul nucleo originario di semente deve essere ripetuta l’analisi dei cannabinoidi.
La selezione nel XXI secolo:
Con la legge del 2 dicembre 2016, n. 242, che riporta le “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” si è ottenuto, dopo quasi venti anni di attesa, il riconoscimento legale che ha fatto chiarezza sulle regole per coltivare la canapa industriale. Nella nuova legge è previsto coltivare Cannabis per ottenere coltivazioni destinate al florovivaismo, prevede quindi di poter utilizzare anche le cime fiorite della pianta.
Il nuovo mercato che si sta formando, si basa essenzialmente sulla non pericolosità del cannabinoide non psicoattivo, il cannabidiolo o CBD, al quale sono state attribuite una lunga serie di proprietà medicinali. Inoltre nuovi studi attribuiscono anche ai terpeni importanti funzioni per l’organismo umano. Si tratta di una classe di molecole che conta fino a 120 differenti composti per la cannabis, i quali interagiscono tra loro in sinergia per creare odori e qualità tipicamente differenti. Vengono assunti in concomitanza dei cannabinoidi. Sono ritenuti responsabili ad esempio di aumentare il flusso sanguigno, di migliorare l’attività corticale e di uccidere agenti patogeni respiratori. Non solo, possono anche avere effetti positivi nel trattamento del dolore, delle infiammazioni e delle infezioni fungine e batteriche.
Le nuove varietà
Per tale motivo il miglioramento genetico dovrà orientarsi verso la selezione di nuove varietà destinate specificatamente alla produzione di infiorescenze. Queste dovranno avere taglia più bassa rispetto a quelle tradizionali ed essere qualitativamente migliori sotto il profilo terpenico e del contenuto di CBD. Le varietà inserite nella lista delle piante ammesse dall’ Unione Europea hanno un contenuto di cannabinoidi e terpenico non stabilizzato. Questo sta a significare che vi è all’interno delle popolazioni di cannabis, una grande variazione nella composizione e nel contenuto di cannabinoidi e di terpeni tra le singole piante.
Questo è un grande svantaggio per l’imprenditore agricolo che si trova a fronteggiare il problema della non uniformità dei parametri chimici del suo prodotto. Inoltre, le varietà a disposizione sono o monoiche o dioiche. Anche questo è un problema poiché, al fine di ottenere una produzione di biomassa o infiorescenze altamente qualitative è necessario che tutti i maschi siano eliminati dal campo. In modo tale da scongiurare un’eventuale impollinazione dell’infiorescenza che indirizzerebbe così tutte le risorse nella produzione del seme al posto dei preziosi metaboliti. L’operazione di emasculazione è un operazione molto onerosa per l’imprenditore che dovrà investire molte risorse e tempo in questa attività.
Ti è piaciuta la storia del miglioramento genetico della canapa in Italia?
Cosa pensi si debba migliorare nella nuova Cannabis del XXI secolo? Quali tratti pensi che debbano essere presi in considerazione? Faccelo sapere seguendoci su Instagram o Facebook ! Saremo felici di rispondere a tutte le domande e i dubbi o semplicemente per fare due chiacchiere su questo argomento!